Nata nel 2007 con la complicità attiva di un editore competente ma poco convenzionale LsmS, una collana di lingue -ma non solo- si presentava sul mercato, con la prospettiva di ospitare delle opere di genere vario, dal saggio alla narrativa, dalla testimonianza personale o collettiva sul plurilinguismo a forme più elaborate di educazione e di formazione linguistiche nella rete della mobilità delle persone e delle cose.
Oggi che non possiamo non ripensare la mobilità e il concetto di distanza, la riflessione sulle lingue, sui mezzi e le modalità della comunicazione non si dissocia da quella sulla convivenza e la sopravvivenza
“Lingue sempre meno straniere” vorrebbe portare la sua voce per nuove o rinnovate vicinanze
Comitato editoriale: Danielle Lévy (Direttrice), Edith Cognigni, Stefania Cavagnoli
Comitato scientifico: in corso di aggiornamento
Tipologie di pubblicazioni:
Testi ad uno o più autori e in una o più lingue delle seguenti tipologie:
Monografie o collettanee scientifiche (i testi sono sottoposti a una revisione dei pari ( Peer review))
Dossier di ricerca-azione e sperimentazioni
Opere di narrativa sui temi di interesse dalla collana (es. diari, racconti, testimonianze autobiografie…)
Modalità di pubblicazione:
Cartacea (Book on-demand)
Open access
Immaginiamo l’incontro del nostro potenziale lettore o di qualche eventuale autore con la nascente collana e il suo legittimo interrogativo che cosa sono le lingue sempre meno straniere? E perché sempre meno?
Cercare un titolo per una collana rappresenta per chi ne prende l’iniziativa un occasione piacevole ed eccitante: tutto è aperto, possibile e deve essere nuovo, diverso, stimolante. Ma presto ci si scontra con le centinaia di proposte già attivate, operative, spesso ottime e si è colti dallo scoraggiamento per lo scrupolo della ridondanza nel creare una nuova collana di didattica delle lingue che rischia di essere “nuova” solo nel senso della ripetitività e non dell’innovazione…
Il venire alla luce del primo volume della collana mostra che, come i nostri predecessori e probabilmente come lo faranno i posteri, abbiamo superato la crisi iniziale e lanciato sul mercato la ennesima - ma non ultima - collana di didattica e di educazione linguistica; questa si vuole confortata a monte dalla ricerca e dalla formazione nonché da una visione delle lingue nel contesto internazionale ed ha l’ambizione di arricchire, a valle, la ricerca, la formazione e la visione “politica” delle lingue e dei parlanti.
“Sempre meno straniere”: un dato di fatto incontestabile, poiché la mondializzazione dà a vedere ambiti finora ignoti attraverso i media, i percorsi virtuali, la mobilità delle persone.
Inoltre, si percorre lentamente ma virtuosamente la strada che porta al riconoscimento del patrimonio multilinguistico di ciascuno - noi sappiamo che nel mondo sono infinitamente più numerosi i plurilingui rispetto ai monolingui e che è stata l’ideologia della lingua unica sostenitrice della costruzione della nazione, la quale a sua volta la legittima, ad averci messi in guardia per secoli contro la tentazione di Babele - anche se questo patrimonio è imperfetto, incompleto, fatto di competenze parziali come oggi si dice, di grandi e di piccole lingue, di dialetti e di codici talvolta in pericolo di vita. Ma “sempre meno straniere” vale qui anche come augurio per tutti noi.
E, perché le lingue lo siano veramente, c’è da intensificare e approfondire il loro studio, le loro condizioni di produzione e di elaborazione, la conoscenza e l’ambito culturale di coloro che la parlano, quelli che le studiano, gli educatori, i politici, i detrattori: la lista è inesauribile!
Prima di procedere chiediamoci se è un bene che le lingue - le persone, le nazioni o quel che ne resta - diventino sempre meno straniere. Non si corre il rischio di perdere l’attrazione, l’emozione davanti all’ignoto? La familiarità non porta con sé la noia del déjà vu, déjà vécu? Non vorremmo rispondere in maniera semplificatrice ma affermiamo che qui si mettono radicalmente in discussione i due binomi “attrazione dell’ignoto vs noia del conosciuto” e “paura dell’ignoto vs conforto nel familiare” e l’opposizione che essi racchiudono. Sono componenti e processi reali e necessari nell’approdo alla realtà ma le strade non si escludono in termini così manichei.
Questa collana si propone di far coesistere - senza pertanto esprimere un ordine di valore o delle priorità cronologiche - la pratica educativa linguistico culturale e la ricerca considerata come permanente ed affidata a tutti, dallo studioso istituzionale all’insegnante di terreno, all’agente sociale, a tutti coloro, educatori ed educati, che ad un momento o l’altro del loro percorso s’interrogano sul ben fondato della loro pratica e della loro riflessione, si espongono alla prova della realtà, assumono il rischio di sovvertire le loro teorie o la loro pratica, di sottoporre sempre l’ideologia all’idea, di subordinare la loro coerenza ed i loro principi ai fatti, di udire le voci individuali, talvolta deboli, sempre disturbanti che non trovano nell’istituzione educativa e politica riscontro o possibile dialogo.
Per raggiungere il suo obiettivo, la collana, dal suo primo volume**, vuole accogliere autori provenienti da orizzonti disciplinari e formativi vari, di lingue diverse - il volume stesso non dovrebbe essere infatti monolingue - aventi in comune il desiderio di avvicinare le persone attraverso la formazione linguistica e contemporaneamente di addentrarsi nella la diversità senza domarla, facendo dell’alterità la condicio sine qua non dell’incontro nella società civile. Così si spiega perché abbiamo usato il corsivo per sempre meno: per non ricondurre a sé o alienare al globale l’esperienza dell’altro.
Nelle righe che seguono abbiamo cercato di dare rilievo al perché delle scienze umane e sociali nel riportare la didattica delle lingue e delle culture in una posizione più centrale nel progetto educativo oggi europeo ma presto internazionale; all’utilizzo di concetti “trasversali” a più discipline e al loro inserimento nelle azioni didattiche ed educative.
Benché lo studio delle lingue e la loro trasmissione didattica riconoscano il loro debito alla linguistica applicata si va oggi operando uno “svezzamento” e si conquista un’autonomia, per taluni quasi euforizzante - perché il campo d’investigazione tematico e metodologico si allarga - ma per altri un po’ inquietante perché si mettono nuovamente in discussione le frontiere (epistemologiche ma anche accademiche) di un campo che si è costruito a fatica tra le discipline “da insegnare” e le direttrici della pedagogia.
Da alcuni decenni ed in Europa in particolare*** la didattica delle lingue si è spostata dalla periferia dell’insegnamento e tende ad una posizione centrale e anche diramata che si dispiega nella formazione degli individui, tanto nel contesto scolastico che lungo tutta la vita. La formazione alle lingue straniere contende alla formazione mediante le lingue e all’educazione alla cittadinanza in senso lato le funzioni della didattica; la dimensione culturale dell’insegnamento/apprendimento delle lingue declamata e ridondante nei testi e nei programmi ufficiali ha trattenuto l’attenzione di numerosi studiosi della didattica e, considerata da un punto di vista antropologico, essa varia (ossia cambia, riflessivamente, e modifica, attivamente) lo spazio dell’insegnamento, della formazione dei docenti e degli stessi formatori, della riflessione nel campo della didattica delle lingue per diventare parte costitutiva delle discipline linguistiche.
Tali propositi si possono tenere per la sociologia, la psicologia, le discipline legate alla politica e all’organizzazione delle persone se consideriamo che la dialettica tra l’individuo e il legame sociale caratterizza gli ambiti dell’educazione, del sociale, del politico. Tanto più si potrebbe dire lo stesso per la storia e la geografia nelle loro infinite declinazioni secondo i luoghi, i tempi, i sistemi d’insegnamento.
La didattica delle lingue e delle culture trova una fonte autorevole nei maestri dell’antropologia moderna che elogiano il “bricolage” ossia la presa a prestito, purché sempre dichiarata e mai occultata, di altre scienze e di processi d’investigazione estranei alla loro disciplina: infatti si cerca da una quindicina di anni di chiamare altre discipline nelle ricerche didattiche e di aprirle a nuovi campi. L’insegnamento e gli insegnanti, in modo più intuitivo che consapevole, lo hanno da molto più tempo o forse da sempre integrato nella pratica.
I risultati sono interessanti ma disseminati e la ricerca in didattica cerca oggi di mettere in luce alcune nozioni relativamente nuove nel nostro campo e di coniugarle con lo studio delle lingue, l’insegnamento linguistico, la formazione. Ne citeremo alcune come le istituzioni, le appartenenze, gli “spazi terzi”, i mediatori e la mediazione, i discorsi politici sulle lingue, i concetti di distanza e di prossimità, la soggettività e le biografie individuali; esse s’incontrano con le categorie tradizionali della didattica come il discente, il docente, il parlante, le istituzioni scolastiche, le competenze, i materiali didattici e vengono interrogate, come lo si diceva, da discipline eterogenee all’approccio consueto come l’antropologia, la storia, la psicanalisi, il diritto, le politiche, le scienze dell’educazione, i cultural studies, i gender studies e, ovviamente, la linguistica e i suoi derivati sempre meno in prospettiva monolingue ma da tempo in prospettiva comparativa che relativizza le lingue ed il loro punto di partenza, rivisitando le categorie dell’evidenza, dell’arbitrario, del naturale.
Ne è conseguente la comparsa di nuovi concetti che qualificheremo come “trasversali” ai campi e alle aree delle categorie precitate: complessità, pluralità, processi, plurilinguismo, risorse, competenze, rappresentazione, coesione, reciprocità - e tanti altri - vengono “dinamizzati” da azioni o atteggiamenti come la stereotipizzazione, l’opposizione vs la cooperazione, l’approccio, la comparazione, la mediazione, il trasferimento, la distanziazione - e la lista è ancora molto lunga! - che funzionano diversamente a seconda dei contesti geografici, storici, linguistici dello studioso-docente e del suo discorso.
Le discipline citate ed interferenti - non abbiamo né la pretesa di dare regole per l’interdisciplinarità né pretendiamo l’esaustività, anche perché si constata che secondo i paesi, i tempi, le mode, alcune sono più focalizzate ed altre non - penetrano in modo fecondo la didattica delle lingue e delle cultura no appena questa ultima si pone all’ascolto del cambiamento sociale e politico; nello spostare i punti di vista e nel decentrare le priorità, essa mette in atto delle problematiche inedite e ne fa presentire l’evoluzione. Il campo della didattica interpellato dall’atteggiamento dello studioso appare come particolarmente propizio all’elaborazione di tali processi.
La didattica - e chi la studia - avanza a causa della sollecitazione dell’ambiente nel quale opera, al quale reagisce, che lo istituisce nel presente e contribuisce alla sua evoluzione. I suoi ideali, la sua cultura pregressa, colta e antropologica, lo conducono a convocare in priorità ma non definitivamente alcune scienze umane o sociali nelle quali si diletta, in senso nobile.
Una visione dell’interazione tra una ricerca empirica, una pratica d’insegnamento, dei concetti sempre rivisitati ci impedisce di gerarchizzarli secondo un modello top-bottom dove la posizione subalterna sarebbe assegnata alla pratica. Che si tratti di saggistica e di riflessione teorica, di manualistica, di materiali multimediali o di progetti e programmi che associano le lingue, di esperienze biografiche nelle lingue, tutti sono invitati secondo i loro talenti a partecipare alla costruzione di questa rinnovata didattica, purché ci si muova da un comune interesse allo scambio tra la speculazione in laboratorio e la risposta costruita sul terreno.
Che una didattica delle lingue nella società globale che si legge e che si pratica alla luce di tale “bricolage” disciplinare cercando di tenere in conto variazioni e varietà ma anche comunicazione ed interiorizzazione delle lingue e delle culture sia mostrata da parte del comitato di lettura della collana **** come il suo modesto ma determinato atteggiamento volto a renderle - e a rendercele - sempre meno straniere.
Un ringraziamento particolare va a Francesca Vitrone, per aver seguito i contatti tra la curatrice e l’editore e al nostro editore che si è assunto il compito di seguirci in questa impresa, condividendone lo spirito innovativo e operando con professionalità per dare al nostro “bricolage” una veste tanto di agevole consultazione quanto - ci auguriamo - gradevole al lettore.
* Testo redatto dalla direttrice della collana Danielle Lévy, in occasione della pubblicazione del primo volume (2006).
** AA.VV. 2006 Da una a più discipline, da una a più lingue. Ricerca, insegnamento e formazione per una didattica delle lingue - sempre meno - straniere (D. Lévy, ed.) Porto San Elpidio, Wizarts.
*** ma non solo: molte realtà educative dei paesi detti terzi, in precedenza calcate sul modello coloniale, oggi riconsiderano l’apporto attuale dei sistemi educativi che furono di riferimento forzato proprio perché questi ultimi, una volta persa l’egemonia, nel processo di sopravvivenza e di necessario e complesso legame con i paesi dominati, furono i pionieri di una didattica plurilingue, di riconoscimento delle minoranze, non indifferente alle realtà sociali e politiche dei paesi “in via di sviluppo”.
**** il comitato di lettura della collana, sotto la responsabilità di Danielle Lévy (Macerata) si è costituito in origine con gli autori del primo volume: Arianna Benenati (Roma), Edith Cognigni (Macerata), Germana Govoni (Ferrara), Danielle Londei (Bologna), Nazario Pierdominici (Macerata), Francesca Vitrone (Macerata).
Ad essi si sono aggiunti Aline Gohard Radenkovitch (Fribourg, CH), Geneviève Zarate (Paris), Pilar Gómez Manzano (Madrid).
Inoltre il comitato è sostenuto dal Dottorato di Ricerca in “Politica, Educazione, Formazione linguistico-culturali”, dal Centro Linguistico d’Ateneo C.L.A. dell’università di Macerata, dall’Associazione DoRiF-università, dal Laboratorio di ricerca “Percorsi linguistici ed indagine biografica”, dall’équipe internazionale dell’opera “Critical Handbook of Multilingualism and Multiculturalism”.
Nascendo da una ricerca che mette in luce nozioni relativamente nuove nello studio e insegnamento delle lingue, investendo le categorie tradizionali della didattica e le istituzioni con i concetti di appartenenza, di “spazio terzo” di mediazione, interrogando l’incontro/scontro tra i discorsi politici sulle lingue e la soggettività o le biografie individuali, questo libro rappresenta un momento di svolta e contribuisce con lucidità a rendere “sempre meno straniere” le lingue a chi le studia, le insegna, le impara avviando il tanto conclamato quanto difficile dialogo interculturale.
Pluridisciplinare grazie agli strumenti della linguistica e della sociolinguistica, del testo e della narrazione, della pragmatica e della semiotica, della sociologia e dell’antropologia, questo studio in profondità sottrae rigidità a concetti come ‘lingua materna’, ‘straniera’ o ‘seconda’, dialetti e lingua, grandi o piccole lingue quando osservati nelle politiche linguistiche e scolastiche, nelle ideologie o negli stereotipi o, all’opposto, nella rappresentazione che ciascun soggetto ne fa nel proprio discorso.
Questo testo si colloca nella collana “lingue sempre meno straniere” poiché da una parte contempla il mondo dei migranti adulti, confrontati alle ragioni vitali dell’apprendimento della lingua del Paese di immigrazione e alla costruzione del proprio processo identitario in situazione precaria attraverso la rappresentazione, il riconoscimento e la costruzione permanente del proprio molteplice repertorio linguistico; dall’altra, poiché interpreta e costruisce la figura dello studioso in azione, ossia dell’insegnante attento alla dialettica tra categorie cognitive e singolarità emergenti. Guardando alla lingua con la lingua, attraverso una complessa lettura dei racconti di vita e delle storie di lingue che essa stessa suscita, tesse delle vie flessibili per l’apprendimento, l’insegnamento e la costruzione di sé, dove il docente come il discente e il docente con il discente si trasformano entrambi in agenti e protagonisti del mutamento sociale.
Danielle Lévy
Edith Cognigni è post-dottoranda e docente a contratto presso l’Università di Macerata, dove si occupa di insegnamento dell’italiano a stranieri e di formazione nell’ambito della didattica delle lingue straniere e seconde.
Laureatasi in Lingue e Letterature Straniere a Venezia, ha conseguito presso l’Università di Macerata il dottorato di ricerca in “Politica, educazione e formazione linguistico-culturali”, di cui è tutor. I suoi interessi di ricerca si rivolgono principalmente all’apprendimento/insegnamento di una lingua seconda in contesto plurilingue e alla formazione linguistico-culturale attraverso l’approccio biografico.
L'ouvrage est tiré d'une thèse de doctorat soutenue en mai 2013 à l'Université de Macerata (Italie). Il retrace un parcours de recherche qui s'ancre dans la réalité d'un dispositif d'enseignement bilingue en Italie et propose, à travers un cas d'étude spécifique, une réflexion élargie, par le biais de son inscription dans un système politique et didactique global. Les dispositifs bi-plurilingues s'affirment comme des axes essentiels de la didactique du plurilinguisme au sein des systèmes éducatifs nationaux. Le foisonnement terminologique concernant les dispositifs (section bilingue, immersion, CLIL, EMILE etc.) reflète la diversité des politiques, des pratiques et des modalités de mise en place de ce type d’enseignement, dont nous proposons dans cette recherche de présenter un cas spécifique. Notre cas d’étude s'inscrit donc dans le contexte de la coopération linguistique éducative franco-italienne, déterminée par un agenda européen et mondialisée. Une époque travaillée d'une part par
l’interdépendance globale des acteurs et les mouvements d’autonomisations des institutions éducatives locales; et d'autre part par les évolutions didactiques, mais aussi politiques et idéologiques de la diversité linguistique et culturelle telle qu’elle est appréhendée aujourd’hui par la recherche en didactique et par les institutions politiques en Europe.
Posés ces prémices, le propos de l'ouvrage se concentre sur les voix des adolescents apprenants acteurs de la formation bi-plurilingue, en étroite relation dialoguée avec l'enseignante -devenue doctorante-chercheure- à travers l'enquête qualitative mise en place.
Cette démarche vise à intégrer la place et la voix du chercheur dans le système analysé, selon les principes de réflexivité et d’intersubjectivité dans une perspective herméneutique de création du sens en relation avec les discours d’apprenants. Il y est proposé une analyse des discours d’adolescents, producteurs de savoirs sur une expérience individuelle contextualisée, construite à partir de la prise en compte aussi bien des cadres sociaux, culturels et historiques déterminants dans leur formation, et que de l’expression d’une voix personnelle, qui donne sens au choix et pratiques de l’adolescent acteur social. Le présent ouvrage retrace un parcours de recherche et de formation, où l’objet de recherche est appréhendé à partir de la prise en compte de la relation d’intersubjectivité qui associe chercheuse et apprenants adolescents dans la démarche de création du sens, au sein d’un système de discours politiques et didactiques complexe. L’exploration en profondeur des discours d’apprenants et la
nécessité de les intégrer au contexte politique éducatif, culturel et social, nous permet d’avancer des pistes pour une meilleure connaissance et compréhension des parcours d’enseignement/apprentissage dans ce contexte. Des dispositifs de coopération binationale à la relation approfondie qui s’instaure à la langue-culture proche dans l’espace-classe, la question de l’altérité linguistique et culturelle est constitutive, à tous les niveaux, du projet commun de formation italo-français dont nous rendons compte. Notre démarche interroge cette altérité à la fois au sein du projet de recherche et pour les objectifs de formation de l’éducation bi-plurilingue.
Cosa vuol dire insegnare italiano come lingua seconda (L2) nella scuola di oggi? Quali sono le competenze necessarie al docente incaricato di tale insegnamento e come è possibile maturarle durante la formazione? Il presente lavoro di ricerca vuole dare risposta principalmente a questi quesiti nella convinzione che nella scuola – ma anche negli altri ambienti formativi – non sia più possibile affidare a figure non specializzate tale tipo di insegnamento, che richiede competenze complesse ed una particolare sensibilità nell’approcciare il mondo dell’Altro. La scuola multiculturale esige un ripensamento ed una sistematizzazione delle esperienze virtuose e delle buone pratiche scolastiche adottate negli ultimi anni per poter offrire agli alunni di cittadinanza non italiana (cni) lezioni di italiano L2 che siano davvero inclusive e che favoriscano l’accoglienza dell’alunno nella comunità scolastica, al fine di migliorarne la competenza linguistica e di metterlo nelle migliori condizioni per poter studiare anche le altre discipline. A tal fine, è necessario affidare le lezioni di lingua a docenti che siano preparati ad affrontare le peculiarità proprie dell’insegnamento in tali contesti e che siano capaci di relazionarsi in modo costruttivo con alunni e famiglie di culture diverse. Nessun percorso di formazione per docenti può però raggiungere risultati soddisfacenti se i partecipanti non sono motivati e se non condividono le finalità e modalità del percorso stesso (Gattullo 1991; Vannini 2012). Per questo motivo si è scelto di intervistare alcuni docenti di scuola secondaria di primo grado quali esperti conoscitori dei fenomeni che interessano la scuola e delle difficoltà e dei punti di forza che caratterizzano la tipologia di insegnamento al centro della ricerca. I dati del MIUR mostrano inoltre come il rendimento nella scuola media influenzi fortemente le scelte scolastiche successive, penalizzando maggiormente gli alunni cni con difficoltà linguistiche che confluiscono principalmente negli istituti professionali, rischiando così la segregazione scolastica (MIUR-Fondazione ISMU 2016).
La comunicazione con l’alunno cni, al di là delle difficoltà linguistiche, rappresenta una priorità per il docente di L2 intento a creare nel gruppo-classe un clima sereno e disteso per abbassare il filtro affettivo (Krashen 1985) e facilitare l’apprendimento linguistico. A tal fine, il docente deve essere in grado di comunicare anche attraverso il linguaggio non verbale evitando però che si generino incomprensioni dovute alle differenze culturali. La competenza interculturale e la capacità di cogliere il vissuto dell’Altro attraverso l’empatia – e non ‘simpatia’, secondo la distinzione di Bennett (2015) – risultano competenze imprescindibili per l’insegnante di italiano L2. Inoltre, la lingua utilizzata dall’insegnante è allo stesso tempo ‘mezzo’ ed ‘obiettivo’ dell’apprendimento, per cui l’input linguistico del docente deve essere comprensibile e collocarsi nella Zona di Sviluppo Prossimale (Vygotskij 1980) dell’alunno per poter essere trasformato in output ed essere quindi assimilato. Il docente attua infatti un controllo costante sul proprio modo di parlare in classe, per avvicinarlo alle competenze degli studenti, utilizzando una varietà di linguaggio chiamata teacher-talk (Diadori 2004) al fine di permettere la negoziazione dell’input e facilitare l’acquisizione linguistica rispetto a quanto avviene solitamente in un contesto spontaneo (Diadori, Palermo, Troncarelli 2015).
Le competenze finora illustrate rientrano nell’ambito di quelle che chiameremo competenze comunicativo-relazionali; dalla ricerca emergono poi una serie di competenze metodologico-didattiche che permettono al docente di gestire in modo efficace la fase della programmazione, della somministrazione delle attività in classe e della verifica e valutazione degli apprendimenti, nonché della valutazione del proprio operato al fine di migliorarne la qualità e l’efficacia. Tradizionalmente, nei percorsi di formazione dei docenti ci si è concentrati principalmente sull’acquisizione della seconda tipologia di competenze, attraverso lo studio al livello teorico e la simulazione di attività didattiche. Unico momento formativo in cui i docenti sperimentano direttamente le difficoltà e problematiche relative all’insegnamento è il tirocinio, che risulta però efficace solamente se accompagnato da un costante confronto con il tutor e con i colleghi: l’esperienza può generare apprendimento soltanto attraverso la riflessione (Kolb 1984; Schön 1993). L’apprendimento è inoltre un processo olistico (Reggio 2010) che coinvolge diverse dimensioni (emotiva, cognitiva, corporea) dell’essere umano; pertanto, la formazione del docente non può avvenire solo attraverso metodologie formali che si rivolgono alla sfera cognitiva, ma necessita di attività che prendano in considerazione anche gli aspetti emotivi e relazionali, adottando tecniche e includendo esperienze tipiche degli ambiti non formali e informali. La competenza – secondo quanto indicato dalla Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente (2018) – si compone anche di ‘atteggiamenti’ che il docente competente deve acquisire durante la formazione e che possono essere appunto sviluppati attraverso l’apprendimento esperienziale.
Nel presente lavoro si illustrerà un possibile modello per i corsi di formazione per i docenti di italiano L2 che pone particolare attenzione anche allo sviluppo di competenze attinenti alla sfera emotiva e relazionale attraverso esperienze che si discostano in parte da quelle previste solitamente nella formazione tradizionale che avviene in contesti formali come l’università.
Il nostro lavoro si iscrive nel dominio della didattica delle lingue straniere e ha per oggetto la costruzione della didattica della cultura entro la disciplina di Lingua e cultura cinese, nella scuola secondaria di secondo grado italiana. Facendo appello ad alcuni strumenti tratti dall’epistemologia della scienza di Thomas Kuhn, e a recenti studi di Joël Bellassen e Zhang Ying sullo sviluppo dell’insegnamento del cinese in Francia, integrati con la nozione di trasposizione didattica – ovvero quel dispositivo elaborato da Yves Chevallard nel 1985 per l’adattamento e la riformulazione del sapere scientifico nella Scuola – esso descrive le condizioni dell’insegnamento del cinese nella scuola secondaria italiana, inquadrando specificatamente lo stato di sviluppo dell’insegnamento della cultura. Quello che si osserva a proposito della didattica della cultura è che si è giunti a un certo grado di avanzamento per quanto riguarda gli oggetti da insegnare (i contenuti disciplinari), ma si è ancora in una fase iniziale di riflessione su come rendere tali oggetti insegnabili. Questa condizione è amplificata dall’influenza sul percorso di conoscenza della rappresentazione di distanza culturale associata alla cultura cinese in Italia.
Partendo da queste osservazioni sullo stato di avanzamento nel processo di trasposizione didattica e sulla rappresentazione di distanza che viene facilmente associata alla cultura cinese in Italia, lo scopo del nostro studio è proporre degli strumenti per lo sviluppo della didattica della cultura cinese. Ispirandoci al dispositivo di adattamento di Chevallard e alle riflessioni di Geneviève Zarate sulla didattica della cultura straniera in chiave interculturale (1993), utile alla gestione della distanza culturale, i parametri che proponiamo riguardano diversi aspetti. Innanzitutto è rilevante il modo in cui selezionare, ordinare e mettere in relazione i contenuti disciplinari; in secondo luogo come integrare la didattica della lingua e quella didattica della cultura; in terzo luogo come proporre descrizioni della cultura cinese che riescano a problematizzare i fenomeni, anziché ridurli, come ad esempio la questione della convivenza di visioni culturali condivise ascrivibili alla tradizione con forme di omologazione culturale. Il principio che sottende alla definizione di tali strumenti è evitare quei meccanismi che amplificano la percezione di distanza culturale. Tali meccanismi hanno a che fare con i modelli di trasmissione del sapere: proporre i contenuti culturali secondo una prospettiva enciclopedica, generalizzante, esotista o edulcorata comporta un aumento di questo senso di lontananza. Analogamente avviene quando l’insegnamento di tali contenuti culturali è esercitato in modo dissociato da quelli linguistici. Viceversa, una prospettiva che metta in relazione i fenomeni, rifugga dalla fascinazione dell’esotismo, offra descrizioni che aiutano il discente a riconoscere le posizioni dell’autore e a prendere la parola esprimendo le proprie posizioni, può giovare alla negoziazione della distanza culturale e permettere un apprendimento significativo e utile a gestire interazioni in presenza nel futuro. Infine, un’attenzione costante all’integrazione di contenuti linguistici nella didattica della cultura e di contenuti culturali nell’insegnamento della lingua, è un fattore ugualmente determinante per rendere vivo e accessibile il fenomeno della lingua-cultura cinese nell’immaginario dell’apprendente.
Testo in italiano e in francese
Los estudios de lingüística contrastiva han demostrado claramente que entre idiomas de estructuras semejantes se puede hablar de homología y no de identidad, por lo tanto entre español e italiano, idiomas que reflejan y al mismo tiempo dan origen a dos culturas distintas, se puede hablar de ‘engañosa semejanza’ como confirma la presente investigación en el ámbito del lenguaje político. En efecto, la similitud de estas dos lenguas, tradicionalmente consideradas ‘primas’, es engañosa porque, en general, se basa en falsas correspondencias y desvanece apenas se toma conciencia de su diversidad. Este trabajo puede interesar no sólo al lingüista (italófono o hispanófono que sea) sino también al estudiante (en particular de Ciencias Políticas) que quiera profundizar sus conocimientos a partir de razonamientos contrastivos. Es importante, además, comprender que también en el lenguaje político es necesario averiguar ‘lo que es igual y lo que es distinto’ en los dos idiomas para evitar las trampas de los falsos amigos y la fosilización de errores de interpretación ‘aparentemente’ inocuos.
Siguiendo la clave interpretativa de Marina Fernández Lagunilla, que considera el lenguaje político como un hecho lingüístico dependiente de la situación de comunicación en que se realiza, el análisis aquí propuesto explora los ámbitos donde la enunciación política supone un intercambio verbal, una comunicación directa semejante al diálogo, o sea, el debate parlamentario (cuyo texto escrito es el Diario de Sesiones del Congreso de los Diputados) y, en algunos casos, se completa con ejemplos extraídos de los diarios más populares de España. Un análisis que es, pues, principalmente de tipo cualitativo (lingüístico) ya que este libro se ocupa más de las características formales del lenguaje político que de sus finalidades.
El objeto del primer capítulo es explicar la organización y el funcionamiento del Sistema parlamentario español, o sea, la ‘situación de comunicación’ que incluye los principales protagonistas, los mecanismos internos y la relación entre Gobierno y oposición. Además, para facilitar su comprensión, se describe el conocido proceso de la ‘transición española’ antesala de un sistema democrático que ya lleva funcionando 33 años. En el segundo capítulo, empleando los recursos de la lingüística contrastiva, se intenta poner de relieve y traducir al italiano los falsos amigos (sobre todo los ‘ilusorios’), las palabras-clave y testigo, las palabras compuestas y, finalmente, los nombres alterados (diminutivos, despectivos, etc.) que se encuentran en el lenguaje político español. En el tercer capítulo se estudia un nutrido número de ‘colocaciones’ presentes en el Diario a las que siguen sus correspondientes equivalencias en italiano. Estas ‘solidariedades léxicas’, pues, ocupan el primer estadio de la fraseología y aunque su sentido suele ser de fácil comprensión, a menudo presentan combinaciones distintas en los dos idiomas. Por último, el cuarto capítulo, es un estudio de los marcadores del discurso que caracterizan tanto el lenguaje coloquial como el parlamentario, si bien, por razones estilísticas propias de cada uno de los registros, la frecuencia de uso y las preferencias no son las mismas.
Armando Francesconi
SOMMAIRE
OUVERTURE p.7
Gregorio Costa, Président du Do.Ri.F- Università. p.9
Manuela Bertone, Ambassade de France en Italie. p.12
INTERVENTIONS p.14
Geneviève Zarate (Groupe de recherche et d’échange en didactique des langues, Institut National des Langues et Civilisations Orientales, Paris) : Identités et plurilinguisme : discours scientifique et champ d’action politique. p.14
Francesca Cabasino (Université de Rome) : La position de l’enseignant/chercheur dans une faculté de Sciences politiques : construction des objets d’analyse et délimitation d’un cadre théorique. p.27
Mathilde Anquetil (Université de l’Aquila) : Communication interculturelle et mobilité Erasmus : quels apports pour les cursus universitaires ? p.35
Martine Azen, Gérard Gouti, Marie Hédiard (Université de Cassino) & Elena Carpi (Université de Pise): Galatea et Galanet, deux programmes européens de recherche–action insérés dans un curriculum universitaire. p.45
Marie-Christine Grange (Université de Pise) Deux nouvelles donnes, la “prova di idoneità”, le cadre européen de référence. p.60
Marie-Christine Jamet (Université de Venise): Reconnaissance et pertinence des certifications à l’intérieur des cursus universitaires : quelques questions. p.63
Marie-Christine Jullion & Chiara Molinari (Université de Milan): Quel oral dans un cours de médiation linguistique ? Une approche ethnographique. p.68
Danielle Lévy (Université de Macerata): Dialectique en contexte universitaire du plurilinguisme et du FLE en Italie : réticences et ouvertures. p.76
DISCUSSION p.91
INTERVENTIONS p.103
Hélène Giaufret (Université de Gênes) & Paola Paissa (Université de Turin): Ecole Doctorale en Linguistique Française: formation et positionnement du futur enseignant-chercheur. p.103
Marina Bailo (Université de Pise): Insegnamento linguistico nelle facoltà umanistiche e figure professionali da formare: problemi posti dalla riforma e soluzioni adottate in due nuovi corsi di laurea. p.106
Graziella Farina & Jean-Pierre Seghi (Université de Pise): Adéquation des contenus aux objectifs : comment graduer l’enseignement de la grammaire au cours des deux premières années de « leu »? p.113
Carla Averso Giuliani (Université de Rome) : Lorsque la langue commune et la langue du droit « doivent » se rencontrer. p.119
Silvia Vecchi (Université de Macerata) : La formation en langue française dans une faculté de Sciences de la formation : quelques représentations d’interaction et de distance. p.129
Micaela Rossi (Université de Gênes): Didattica del FLE e nuove tecnologie: riflessioni a margine di alcune esperienze. p.136
Charles Barone (Université de Naples) : Du morcellement des contenants à la fragmentation des contenus : un support en ligne pour l’apprentissage du français. p.146
Françoise Bidaud (Université de Pise): Entre diversité et continuité ou comment gérer l’hétérogénéité. p.150
DISCUSSION p.155
PREFAZIONE
Il contributo fondamentale di questo libro è costituito dalla divulgazione teorico-pratica del concetto di Intercomprensione (d’ora in poi IC) e delle sue principali ricadute scientifiche e didattiche in Italia, obiettivo che a nostro avviso è stato raggiunto con rigore scientifico e chiarezza espositiva. Infatti, malgrado le molteplici testimonianze che ne illustrano i vantaggi e nonostante le azioni di diffusione degli esperti di IC e di problematiche ad essa correlate, sembra che le politiche linguistiche ed educative dei singoli paesi dell’UE si occupino ancora molto raramente in concreto di approcci plurilingui e pratiche formative e didattiche ad essi associate, e che ancora troppo poco ne sappiano gli operatori del settore.
L’IC presenta il pregio, da una parte, di sottolineare l’importanza dell’uguale dignità di tutte le lingue e del dialogo tra esse; dall’altra, di potenziare le conoscenze pregresse degli apprendenti e di sviluppare le loro consapevolezze riguardo ai saperi posseduti. L’illustrazione di questa nozione “plurima”, basandosi su studi rigorosi a tutto tondo di linguistica, la linguistica testuale in particolare, didattica delle lingue, sociolinguistica, linguistica contrastiva, politica linguistica, linguistica acquisizionale, comunicazione pluriculturale, semiotica, non si limita al solo livello epistemologico ma si cimenta anche con motivate e concrete proposte didattiche, che ritroviamo scorrendo l’indice del volume.
Un libro, dunque, cui la curatela di Maddalena De Carlo, esperta intercomprensionista e collaboratrice – tra l’altro - del progetto REDINTER (rete europea di intercomprensione), assicura il credito necessario per concorrere alla disseminazione del concetto di IC nel nostro Paese, e che potrebbe avere per sottotitolo “Educazione alla pace e al rispetto del diverso”, perché intercomprendere significa anche dare rilievo ai patrimoni conoscitivi delle diverse comunità di parlanti, azione oggi più che mai obbligata per l’Europa, e non solo.
Creare un volume scientifico e al tempo stesso di divulgazione pratica dei principi di IC costituisce, oltre che una sfida, un modo per contrastare l’omologazione e la perdita della diversità, serve a sottolineare, come ci dice De Carlo, il ruolo sociale e culturale di una politica di plurilinguismo. Perché se il plurilinguismo è riconosciuto come un valore costitutivo della comunità europea, gli approcci formativi e didattici fondati sull’IC ne divengono lo strumento imprescindibile.
Un altro aspetto che rende importante questo strumento è che, attraverso i principi fondanti dell’IC, serve a riproporre in Italia l’importanza del ruolo che riveste la comprensione, tradizionalmente avvertita come problematica e lasciata in margine agli interessi della linguistica, negli studi sull’interlingua e delle fasi acquisizionali, quasi sempre concentratisi sulla produzione.
Nella prima parte Maddalena De Carlo e Mathilde Anquetil considerando l’IC uno specifico campo della didattica delle lingue e delle culture, offrono una ampia ed esaustiva ricognizione delle caratteristiche dell’educazione plurilingue in questo ambito. Al tempo stesso forniscono un quadro epistemologico, partendo dagli studi francesi di Porcher e Galisson di didattologia delle lingue-culture e analizzano il cambiamento di prospettive verificatosi intorno e a seguito dei più recenti lavori europei in materia di politica linguistica, che hanno portato alla definizione di scenari “inter” e “pluri”.
Di fatto il volume offre anche una ricognizione ragionata delle azioni del Consiglio d’Europa e delle finalità da esso promosse: plurilinguismo, diversità linguistica, comprensione reciproca, cittadinanza democratica, coesione sociale sono concetti sui quali è condotta una approfondita disamina e che costituiscono la naturale cornice dell’opera. Infatti la politica linguistica europea degli ultimi anni si è fondata sul riconoscimento della differenza linguistica e culturale, passando da una iniziale enfasi sul concetto di multilinguismo a quella di plurilinguismo. Quest’ultimo più pienamente esprime azioni che vanno oltre la promozione di una semplice compresenza di più lingue, per abbracciare una prospettiva di interazione e di contatto dinamico tra lingue, condizione indispensabile per la costruzione di una comunità sovranazionale come auspicato per l’Europa di oggi e del futuro. Una comunità che si sta modificando rapidamente sia per gli scambi di cittadini europei all’interno dell’Unione, sia per la diffusione delle migrazioni, fenomeni che interpellano il ruolo dell’uso delle lingue e del loro apprendimento: lingue per lo studio, per il lavoro, per l’inserimento sociale, per conoscere gli altri e farsi conoscere.
Nel testo si passa poi ad analizzare la situazione dell’insegnamento delle lingue in Italia mettendo chiaramente in evidenza che, malgrado una moderna e avanzata legislazione e una produzione scientifica in ambito linguistico che ha prodotto eccellenti riflessioni per l’educazione linguistica, l’insegnamento linguistico nel nostro Paese costituisce un fattore di debolezza soprattutto per ciò che riguarda la formazione degli insegnanti.
In Italia, e negli altri paesi europei mete dei principali flussi migratori, il riconoscimento del valore dei principi e delle pratiche sviluppati nell’ambito delle ricerche sull’IC potrà permettere anche interventi concreti per migliorare l’inserimento scolastico linguistico e culturale degli alunni stranieri. Ed è qui che allora, a nostro avviso, le pratiche di IC dovrebbero strettamente intrecciarsi a quelle di educazione linguistica per creare un approccio che abbiamo proposto di chiamare “intercomprensione educativa”. Concordiamo pienamente con De Carlo quando conclude che più che un concetto univoco l’IC è il fulcro di un processo di definizione di un campo pluridisciplinare in corso di creazione in cui sono presenti almeno interessi linguistici, di didattica delle lingue e di politica linguistica. Nel quadro teorico-metodologico dell’IC la lingua viene considerata come trasversale a qualsiasi attività umana e conseguentemente come elemento centrale di un sistema educativo che intende combattere le differenze sociali: si tratta di una visione che in Italia è oggetto di riflessione di linguisti e insegnanti a partire dagli anni ‘60, basti citare le Dieci Tesi GISCEL e buona parte dell’opera di De Mauro. Tale visione si espande nell’approccio intercomprensivo per il quale le lingue non devono essere trattate isolatamente una per volta, ma affrontate congiuntamente senza temere, come un tempo, che la continua riflessione condotta dall’una all’/alle altra/e possa creare confusione e disorientamento, abbandonando dunque una visione monolinguistica ed esaustiva dell’apprendimento.
La sezione dedicata alla sintesi ragionata delle varie definizioni di IC risulta di estrema utilità per coloro che in Italia vogliano avvicinarsi a questo ambito di studi e di attività poiché permette di comprendere come da una originaria definizione in ambito linguistico l’IC sia passata al settore della didattica delle lingue, e da qui sia giunta da un iniziale impulso in ambito romanzo al tentativo di applicazione anche a lingue di famiglie diverse, di cui ci informa il contributo di Filomena Capucho. Altra evoluzione nel campo e nell’approccio riguarda le competenze mobilizzate: rispetto ad una maggiore presenza di progetti, sperimentazioni e materiali basati sulla comprensione scritta si fanno strada anche modelli di applicazione alla comprensione orale, non soltanto tra coppie di lingue ma anche tramite lingue ponte, ai quali è dedicata la riflessione di Marie-Christine Jamet. Infine nel volume, sia esplicitamente nella prima parte sia indirettamente nella seconda, si sottolinea anche la rivoluzione che l’approccio all’IC porta con sé riguardo ai ruoli di insegnante e di apprendente. In particolar modo sono messe in discussione le competenze dell’insegnante, il quale non è più il detentore del sapere linguistico dato che nell’approccio plurilingue dell’IC si mettono in campo più lingue e culture contemporaneamente di cui non può essere parimenti uno specialista. Allo stesso modo, si delinea un profilo di apprendente in linea con le recenti indicazioni metodologiche in didattica delle lingue: ancora più consapevole del proprio processo di apprendimento, responsabile delle proprie azioni in quanto co-costruttore del proprio sapere. L’IC pone estrema attenzione alle componenti individuali e psicoaffettive dell’apprendimento mettendo in primo piano l’individualità di stili, strategie e formazione, la capacità di riflettere sulla lingua e sul linguaggio, la soggettività e l’emotività degli attori del processo didattico, caratteristiche cui accorda un valore aggiunto. Per questa via promuove anche la diffusione dell’apprendimento riflessivo.
Sottolineiamo inoltre l’importanza del concetto di competenze parziali all’interno dell’approccio intercomprensivo e del loro ruolo nell’ambiente scolastico ma anche la caratteristica dell’IC di essere fondata sulla competenza di imparare ad imparare: ogni apprendimento è sempre parziale, anche nella propria lingua materna, e se riflettiamo sui processi di apprendimento e sul funzionamento del linguaggio e delle lingue ci accorgiamo di sapere su di essi molto più di quanto immaginiamo.
Ma la rivoluzione implicata nell’approccio intercomprensivo riguarda anche la tendenza “westfaliana”, nata con l’instaurarsi delle nazioni europee, verso l’identificazione di nazione-lingua nazionale, come ci ricorda Pierre Escudé nella seconda parte del volume, parte che presenta alcuni interventi che hanno per oggetto proposte concrete di applicazione dei plurimi principi di IC.
Qui si mostrano esempi che potranno fornire adeguate testimonianze di come ad un quadro generalmente epistemologico si associ la creazione di percorsi e strumenti didattici che sviluppano le competenze cognitive, metalinguistiche, contrastive ma soprattutto plurilingui.
Carla Nielfi ci aiuta a riflettere su quanto i presupposti dell’IC siano più che mai attuali e fondamentali per l’applicazione delle indicazioni nazionali e delle linee guida per i licei e per gli istituti tecnici italiani, sottolineando il ruolo del latino nei processi di IC tra le lingue.
Ultimo, ma non per importanza, il contributo di Encarni Carrasco che va a colmare una lacuna presente in molti lavori sull’IC e che costituisce un ponte ideale con quanto dovrà essere fatto in futuro: affronta la complessa problematica della valutazione di qualità, spostando l’attenzione sulla verifica dei risultati raggiunti nelle sperimentazioni, tramite i materiali didattici prodotti o nella formazione di insegnanti e apprendenti. Una sfida che questo libro lancia e che presto qualcuno raccoglierà.
Antonella Benucci
INDICE
Presentazione della collana
Danielle Lévy 9
Prefazione
Antonella Benucci 15
INTRODUZIONE
Maddalena De Carlo 21
PARTE PRIMA
L’INTERCOMPRENSIONE: DA PRATICA SOCIALE A OGGETTO DELLA DIDATTICA
Maddalena De Carlo
Mathilde Anquetil 27
Introduzione 29
1. L’INTERCOMPRENSIONE, UN CAMPO DELL’EDUCAZIONE LINGUISTICA IN COSTITUZIONE 30
1.1 Il campo dell’intercomprensione 30
1.2 Un quadro epistemologico per la didattica dell’intercomprensione 31
2. L’INTERCOMPRENSIONE NEL CONTESTO DEL PLURILINGUISMO, UNA PROSPETTIVA DALL’ITALIA 33
2.1 Verso un nuovo ordine linguistico? 33
2.2 L’Europa delle lingue, per le lingue 35
Una lettura critica 39
2.3 L’insegnamento delle lingue in Europa 41
2.4 Considerazioni sull’insegnamento delle lingue in Italia 43
L’eredità dell’Educazione linguistica 46
2.5 Un’altra prospettiva possibile 50
3. L’INTERCOMPRENSIONE: DEFINIZIONE DEL CONCETTO E SVILUPPO DEGLI APPROCCI 53
Una definizione in via di sviluppo 53
3.1 Origine del termine in ambito linguistico 54
3.2 L’intercomprensione dalla linguistica alla didattica delle lingue 55
3.3 L’emergenza della didattica dell’intercomprensione come comprensione scritta di lingue affini 56
3.4 L’intercomprensione in interazione 59
3.5 Dall’intercomprensione all’intercomunicazione 60
3.6 L’intercomprensione come forma di comunicazione plurilingue 61
3.7 L’intercomprensione come progetto di politica linguistica 63
3.8 Verso una scelta di definizione dell’intercomprensione funzionale all’intervento didattico 65
3.9 Diffusione delle formazioni in intercomprensione 66
4. L’INTERCOMPRENSIONE NEL QUADRO DI UNA DIDATTICA DEL PLURILINGUISMO 68
4.1 Il repertorio plurilingue 68
4.2 L’intercomprensione: un nuovo oggetto di insegnamento 70
4.2.1 Dal sapere disciplinare all’oggetto di insegnamento-apprendimento 71
4.2.2 Le scelte didattiche da compiere 73
Le lingue implicate 73
Le conoscenze linguistiche 73
Le attività comunicative nei termini del Quadro Comune Europeo di Riferimento 74
Le competenze metodologiche: strategie cognitive e metacognitive 75
4.2.3 Gli studi di riferimento 77
Studi linguistici 78
Studi sull’acquisizione plurilingue 78
Studi sulla comunicazione plurilingue 80
4.3 Gli attori della situazione educativa 82
L’insegnante 82
L’apprendente 83
CONCLUSIONE: Principi di tensione nel soggetto plurilingue e ruolo dell’educazione 83
PARTE SECONDA.
PLURALITÀ DELL’INTERCOMPRENSIONE
Euromania: un manuale scolastico europeo in intercomprensione. Perché e come servirsene?
Pierre Escudé 98
Inserimento curricolare dell’intercomprensione: un’esperienza italiana
Carla Nielfi 114
Galatea, Galanet e Galapro: tre programmi europei per l’intercomprensione tra lingue romanze
Maddalena De Carlo, Marie Hédiard 149
EuRom5, una metodologia per l’intercomprensione. Applicazioni e aspetti linguistici
Elisabetta Bonvino, Elisa Fiorenza, Salvador Pippa 162
Il romeno fra le altre lingue romanze
Doina Spita 183
L’intercomprensione e la didattica delle lingue in Germania: stato dell’arte
Franz-Joseph Meissner 198
Intercomprensione fra lingue appartenenti a diverse famiglie linguistiche
Filomena Capucho 223
L’inglese: un ponte verso le lingue romanze
Jean-Michel Robert 242
Parliamo di orale! Il suo posto nella didattica dell’intercomprensione oggi e domani
Marie-Christine Jamet 252
Analisi di corpora linguistici e intercomprensione
Sonia di Vito 266
L’intercomprensione nell’interazione plurilingue
Helena Araújo e Sá, Maddalena De Carlo, Silvia Melo-Pfeifer 287
Intercomprensione e didattica integrata: dialogo fra due nozioni cugine, tra distanza e prossimità
Hélène David 302
Per una valutazione di qualità, socialmente riconosciuta e istituzionalmente integrata, di e per gli apprendimenti in intercomprensione
Encarni Carrasco Perea 325
Gli autori 343
La presente pubblicazione nasce dall’interesse di promuovere presso le scuole il senso e l’opportunità della figura del facilitatore linguistico attraverso la presentazione del suo profilo formativo e dei percorsi didattici realizzati durante il 1°corso di qualifica presso il Centro Locale di Formazione di S.Elpidio a Mare, che sono stati sperimentati in classe presso le istituzioni scolastiche sede dello stage formativo.
Edith Cognigni e Francesca Vitrone
INDICE
Prefazione pag. 13
Introduzione pag. 15
Capitolo primo: L’italiano L2 in prospettiva interculturale tra abilità di comunicazione e
di studio pag. 17
1. Lo sviluppo delle abilità di prima comunicazione e la ‘lingua dell’accoglienza’ pag. 17
2. Insegnare l’italiano L2 tra abilità di comunicazione e di studio attraverso l’intercultura pag. 23
3. Dall’intercultura nei libri di testo delle scuole alla dimensione interculturale nella
programmazione di classe pag. 32
Capitolo secondo: Italiano L2 e area storico-geografica ed espressiva pag. 43
Premessa pag. 43
1. Le dimensioni del fare e dell’essere tra presente e passato pag. 47
1.1 Quale identità/quali riferimenti pag. 47
1.2 Dal chi al dove: l’identità in gioco pag. 54
1.3 Sono, quindi faccio? Identità, mestieri e cultura pag. 58
2. Il colonialismo come processo dinamico tra dimensione individuale e collettiva, tra passato
e presente pag. 66
2.1 L’imperialismo, le nazioni, gli individui pag. 67
2.2 L’imperialismo di fine ottocento: materiali didattici pag. 71
3. Distante non lontano. Declinando in senso storico-geografico l’identità personale e
professionale pag. 80
3.1 Mille e un gioco per guardare la natura… con altri occhi pag. 83
3.2 Viaggiare per imparare, sperimentare per progredire pag. 88
4. Spazi, punti di vista, rappresentazione: italiano ed arte e immagine pag. 92
4.1 Un punto di vista… gustoso: il Maracuja pag. 95
4.2 Punto di luce, punto di ombra pag. 99
5. Comunicare con gli abiti, abit-are tutte le stagioni pag. 102
Capitolo terzo: Italiano L2 e area scientifico-matematica pag. 109
Premessa pag. 109
1. Percorsi tra figure geometriche e strutture di comunicazione pag. 112
1.1 Forme e animali pag. 113
1.2 Giocando con la geometria pag. 122
2. Percorsi sperimentali tra matematica e codici diversi pag. 126
2.1 Più codici, una lingua pag. 126
2.2 L’alfabeto criptografico pag. 127
2.3 Concetti e pratica sulle equivalenze pag. 130
3. Percorsi nel mondo naturale per scoprire la lingua, la natura e le culture pag. 133
3.1 Il delfino e il suo mondo pag. 133
3.2 Il delfino Ulisse pag. 136
3.3 Com’è fatto il fiore pag. 141
3.4 Il ciclo dell’acqua pag. 144
3.5 Viaggio nel corpo umano pag. 146
4. Bibliografia dei testi citati pag. 155
Allegati
Edith Cognigni è post-dottoranda e docente a contratto presso l’Università di Macerata, dove si occupa di insegnamento dell’italiano a stranieri e di formazione nell’ambito della didattica delle lingue straniere e seconde.
Laureatasi in Lingue e Letterature Straniere a Venezia, ha conseguito presso l’Università di Macerata il dottorato di ricerca in “Politica, educazione e formazione linguistico-culturali”, di cui è tutor. I suoi interessi di ricerca si rivolgono principalmente all’apprendimento/insegnamento di una lingua seconda in contesto plurilingue e alla formazione linguistico-culturale attraverso l’approccio biografico.
Francesca Vitrone è esperta linguistica presso il CLA (Centro linguistico di Ateneo) dell’Università di Macerata per l’italiano L2/LS.
Laureatasi a Roma in Lettere, ha conseguito il Dottorato di ricerca presso l’Università di Macerata, e si è specializzata in didattica dell’italiano come lingua straniera e seconda. E’ tutor nel dottorato di ricerca in “Politica, educazione e formazione linguistico-culturali” presso l’Università di Macerata. Si occupa inoltre della gestione di diversi ambienti di apprendimento online per la didattica dell’italiano in forma blended, e della formazione dei docenti della scuola per conto di diversi enti ed associazioni.
Presentazione del volume
Gli autori che hanno partecipato a questo primo volume hanno accettato una sfida inusuale: quella di consegnare i loro saggi non sulla base di un progetto editoriale concordato ma di costruire insieme a posteriori e l’opera presente e il progetto.
Non deve trarre in inganno la varietà - per non dire l’eterogeneità - degli articoli e delle provenienze degli autori, poiché questa impresa ha come specifico di mettere insieme lavori e riflessioni, percorsi personali e professionali, di persone che per abitudini, affinità, scelte, indirizzi di studio amano confrontarsi di tanto in tanto sul loro operato (o operando) a partire da esperienze e collocazioni professionali diverse ma che fondamentalmente condividono metodi e approcci della realtà intesa come un “da fare” piuttosto che per un “già fatto”: una realtà, come un’identità da costruire comunque, trampolino per un’analisi e la trasformazione che ne scaturisce.
Aggiungerei che la conoscenza e la formazione reciproca dei presenti autori provenienti, certo, dall’instabile istituzione – mi si passi l’ossimoro - che prevede maestri ed allievi, ma anche della più affidabile “formazione permanente” - dove i docenti formano i loro allievi e sono simultaneamente formati da loro nella fiducia e nel rispetto delle competenze dell’esperienza, ci ha visti sereni nel riunire testi e saggi prodotti in varie circostanze.
L’editing di un’opera non è un lungo fiume tranquillo: alcuni dei saggi che seguono erano previsti per altre destinazioni e si sono volatilizzati ora l’editor, ora l’editore senza che nessuno ne abbia precisa colpa ma lasciando nei fatti il progetto incompiuto. Altri lavori contenuti nell’opera provengono da una ricerca più ampia come quella di un dottorato di ricerca o risultano da una didattica tanto consapevole quanto poco convenzionale.
Tutto questo, tuttavia, non depone per un insieme coerente che valga la pena di essere diffusa sotto la forma di un’opera. Ma è giusto informare il lettore che in questi – e più remoti - anni abbiamo insieme, in numerosi seminari e/o durante incontri a tu per tu durante la preparazione delle tesi, interpretato e messo in discussione me alcuni concetti tanto – troppo - usati come paravento contro un’approfondita analisi della modernità e della complessità quali: 1-interculturale, 1-bis multi- o inter-disciplinarità nella ricerca e nell’insegnamento delle 2- lingue “straniere” tanto richieste dal sistema educativo quanto poco familiari allo stesso, attraverso 3- l’analisi comparativa, oggi preferita all’analisi contrastiva più prettamente linguistica e descrittiva, mentre l’analisi comparativa si allarga alla dimensione culturale delle lingue, nella 4- didattica delle lingue per la quale si cerca una posizione meno “periferica”.
Alla luce dei cambiamenti del mondo considerato come il nostro perenne banco di prova, dove gestire un laboratorio teorico-pratico sul breve o sul medio periodo, dei nostri studi, delle nostre esperienze spesso “incomparabili” per età degli autori ma paragonabili in sede di dibattiti, abbiamo introdotto, nel guardare all’identità - dell’alunno, del docente, del contesto...- come forza fondante dell’individualità di ognuno ma anche come costruzione in continuo corso delle reti interpersonali e inter-nazionali, la nozione di legame sociale, cercando di fare dell’insegnamento/ apprendimento delle lingue e della ricerca che li attua e ne deriva, un’attività centrale nella formazione del soggetto e del gruppo. Abbiamo aperto il varco alla soggettività come dato e come metodo d’indagine cercando di evitare -ma non sempre ci siamo riusciti- le divagazioni, i sussurri inaudibili, le confessioni, gli “psicanalismi” selvaggi, consapevoli dei limiti della nostra indagine ma anche della nostra formazione e del nostro statuto di studiosi e d’insegnanti.
Sotto i propositi dichiarati nel presente volume e le sue immediate proposte, si scoprirà una maggiore ambizione. L’opera consente di assaggiare tematiche e tendenze, ma restituisce al lettore lungo il filo dei saggi e degli articoli temi familiari: la competenza linguistica, la conoscenza delle lingue, l’alterità, l’incontro/scontro linguistico-culturale, onde evitare la parola dialogo che imprime una patina ingannevole su quel che si tesse nelle realtà plurali del soggetto in formazione e del mondo in conflitto.
Si sa – ma spesso lo si dimentica all’ora della scuola e in nome dell’unità e dell’eguaglianza – che l’incontro con l’altro è spesso problematico per non dire difficile, temuto o rifiutato e genera malintesi a causa della stessa “vicinanza” geografica, linguistica (Govoni, Pierdominici, Lévy), situazionale o istituzionale come la classe o la scuola in generale (Cognigni, Benenati): eterno paradosso della vicinanza, poiché il vicino è il più diverso tra i simili e il più simile dei diversi, poiché da e nella vicinanza nascono le frontiere o le rappresentazioni che ce ne facciamo!
I luoghi dell’apprendimento che sono evocati nei diversi saggi non ne rispecchiano sempre la versione più praticata; scuole “all’estero”, leggermente periferiche rispetto alla storia e alle dinamiche del luogo dove sono impiantate (Benenati); classi multilingue di soggetti in evoluzione perché migranti (Cognigni, Vitrone); luoghi virtuali (Pierdominici); classi sperimentali, d’élite, bilingui (Govoni). Ora, vuoi a causa del carattere sperimentale, eccezionale, immateriale, decentrato dell’esperienza scolastica o dell’approdo in età tardiva dei migranti in “classe”, tutte le situazioni qui riferite evidenziano l’interculturel incontournable (= interculturale, fatale e necessario, dal quale non si può prescindere) alla volta condizione fondante, metodo e obiettivo: molteplicità, decodifica, relatività, intreccio e spazio/ nuovo/i; “incontournable” ma anche addomesticabile, a patto di attribuirgli strumenti, metodi, discipline varie, scienze umanissime (Londei, Govoni) che entrano in composizione sottile - ma instabile - con le discipline tradizionalmente deputate alla didattica delle lingue, per l’appunto lingue, linguistiche, didattiche o scienze educative.
Da tempo, per fortuna, nessuno più osa dire che l’insegnamento delle lingue è applicazione della linguistica oppure che una seria pedagogia fondata su una solida psicologia del soggetto e del gruppo, condita di buoni sentimenti, motiva l’allievo alle lingue straniere, all’incontro con lo straniero, alla riduzione dell’estraneità, dell’unheimlich inquietante; alcuni hanno, spesso in ottima fede, pensato di promuovere l’apprendimento delle lingue per le necessità comunicative cresciute nel mondo della mobilità delle persone, delle frontiere, delle idee, dei mezzi mediatici: strumenti necessari della mondializzazione, le lingue perdono in termini di sapore e guadagnano poco in termini sapere
Questo nostro contributo, pur non rinunciando all’analisi linguistica e testuale degli enunciati e delle parole in situazione (Lévy), innalza a paradigma certi luoghi periferici o pionieri dell’apprendimento insegnamento: ciascuno presenta, nella sua peculiarità, approcci e concetti senza i quali gli stessi resterebbero opachi, distanti, marginali. Forse possiamo pensare di contribuire - ma come diceva il poeta “la strada è lunga da Atene ad Eleusi” anche se in realtà sono pochi chilometri! - nell’andare e venire dalla teoria alla classe e dalla classe al concetto rivisitato, dalla lingua al soggetto e dal soggetto sociale alle lingue, nella storia, a rendere Heimlich o sempre meno straniere, come dice il titolo del primo volume che annuncia la collana.
Ora forse si coglie meglio l’ambizione di cui sopra. Con questo volume abbiamo consapevolmente corso il rischio di percorrere sentieri laterali o strade decentrate a partire dai quali presentare non tanto il diverso in quanto tale ma quanto sia utile approdare con minor paura al diverso (= umano, linguistico, metodologico) per l’emergenza e la comprensione di fenomeni o situazioni meno marcati, più normali in qualche modo. Abbiamo fatto convivere nella stessa opera varie esperienze teoriche ed educative, lasciando al lettore il possibile lavoro di verifica.
E, se le idee che si svilupperanno lungo le prossime pagine riscontreranno un qualche consenso, non è irreale pensare che si possano scrivere, sotto il “tetto” della stessa collana, opere tra di loro complementari per un percorso editoriale - e cognitivo - dove ricerca, azione, formazione, insegnamento non si sviluppano lungo un asse “ verticale” o una strada a senso unico ma interagiscono ogniqualvolta il docente si riconosce sia come studente che come studioso.
Danielle LEVY
INDICE DEL VOLUME
Presentazione della collana “lingue sempre meno straniere”
Danielle Lévy p.7
Presentazione del volume “Da una a più discipline, da una a più lingue. Ricerca, insegnamento e formazione per una didattica delle lingue sempre meno straniere”.
Danielle Lévy p.13
Terrains multiculturels et esprit d’école. Expérience de recherche sur l’interculturel, choix méthodologiques et positionnements identitaires.
Arianna Benenati p.17
Le lingue di mediazione nella classe plurilingue: apprendimento e insegnamento dell’italiano L2 a migranti adulti provenienti dai paesi post-coloniali.
Edith Cognigni p.41
L’intégration du Français Langue Etrangère à l’enseignement de l’Histoire dans les lycées bilingues italiens: perspectives d’éducation interculturelle pour la formation des enseignants.
Germana Govoni p.63
Insegnare o indicare le vie della “cultura corrente”: il caso delle lingue-culture vicine.
Danielle Lévy p.93
Connessioni tra interculturalità e interdisciplinarità dell’insegnamento/apprendimento linguistico.
Danielle Londei p.131
The Paradox of Cultural Mediation in Times of War: the Case of the Israeli-Palestinian Conflict As Seen Through a Pro-Israel Internet Site.
Nazario Pierdominici p.153
Se non ti esprimi non puoi parlare: plurilinguismo e intercultura nelle rappresentazioni di studenti in mobilità universitaria. Riflessioni nella e per la classe di lingua di stranieri.
Francesca Vitrone p.177
Biografie degli autori p.205
Collocata nella collana “Lingue sempre meno straniere”, l’opera “Appartenere tra lingua e cultura. Meccanismi di costruzione e di decostruzione dell’identità etnolinguistica” colma un vuoto nella riflessione sull’appartenenza e l’alterità nella comunicazione linguistico culturale. Sin dall’inizio essa si pone in opposizione ad una concezione rigida della relazione lingua/cultura, consentendo ad una lingua, “naturale” o fabbricata, di esprimere più culture sia nella costruzione dell’identità personale che in quella collettiva, regionale, nazionale o ad aspirazione universale; e, vice versa, alla cultura di un soggetto o di un gruppo identificabile storicamente, politicamente e/ o geograficamente, a causa dei rapporti instabili e variabili di transfert e di stratificazioni e dei fattori innumerevoli e mutevoli di esclusione e di integrazione, di esprimersi in contemporanea o in successione, in più lingue.
L’A. sceglie prevalentemente come punto di osservazione due realtà “estreme” che egli interroga a vari livelli e da varie parti, sul piano linguistico e/o politico: l’esperanto, coniato a partire da una realtà linguistica spezzata, nell’Europa dell’800 e da un ideale di comunicazione universale - proprio mentre andava a rafforzarsi il binomio lingua-nazione - e l’ebraico, lingua-calco, esumata e rimodernata proprio per consentire la costruzione di una nazione e accogliere coloro che se ne sarebbero fatti i pionieri.
Consapevole della rappresentazione che i più si fanno dell’esperanto e dell’ebraico - visioni “impopolari” o “utopiche”- e comunque del fatto che non sono generalmente un oggetto di consenso, l’A., nel suo laboratorio evidenzia le lingue e le culture drenate da queste due lingue, riportandole all’ obiettivo iniziale di scoprire i meccanismi di formazione dell’identità etnolinguistica e della comunicazione.
L’opera -che va oltre a considerazioni modaiole sull’alterità e sulla diversità- si muove sul campo dell’ interculturalità al di fuori di vecchie e di nuove ideologie, linguistiche o politiche
Ed è il merito di una scrittura agevole che fugge i manierismi accademici ad esaltare l’originalità e la modernità di questa matura riflessione
Danielle LEVY
Direttrice della collana “Lingue sempre meno straniere”
Nazario PIERDOMINICI (1961) si laurea a Macerata in lingue e letterature straniere moderne -inglese/russo- con una tesi sul “Trattato dell’Astrolabio” di Chaucer e consegue il dottorato di ricerca in filologia semitica presso l’Università di Firenze nel 1995 con una lavoro dal titolo “Esame di alcuni aspetti pragmalinguistici dell’ebraico israeliano”. Dopo una prima permanenza in Israele grazie a una borsa del Ministero degli Esteri egli vi effettua altri soggiorni e poi si reca in Francia. Per vari anni (1999-2009) ha collaborato come junior tutor con il dottorato in “Politica, Educazione, Formazione linguistico-culturali” e il Centro Linguistico dell’ateneo maceratese. Attualmente insegna inglese nelle scuole statali della provincia di Macerata.